Il singolare esperimento di Capcom ha in qualche caso pagato lo scotto di un fraintendimento di fondo; interpretato e fortemente criticato come un ripetitivo e impacciato action game à la Devil May Cry in salsa shooteristica, complici l’inquadratura in terza persona, il personaggio carismatico e la componente stylish, non è stato riconosciuto nella sua intima natura di shoot ‘em up nudo, crudo e inflessibilmente disciplinato.
Vanessa Z. Schneider non può sparare mentre si muove; è un limite tanto incontestabile quanto opprimente, ma è proprio su di esso che il gameplay sceglie di fondarsi, articolandosi in un’alternanza serrata tra caprioleggianti schivate laterali, sfruttamento delle coperture fornite dallo scenario e fasi d’attacco. Il giocatore è impossibilitato a sfogare la propria esigenza di distruzione e predominio, non può scagliarsi frontalmente attraverso il fuoco nemico; è invece chiamato a trattenere i propri impulsi, ad auto-regolarsi, colpendo senza pietà solo una volta curata la fase difensiva: l’alternativa è una morte rapida e sconsolante.
La sola, liberatoria concessione di un impianto di gioco tanto claustrofobico è rappresentata dalle Energy Drive, mosse speciali legate alla tipologia di esoscheletro indossata dalla protagonista e differenziate per gittata e modalità di esecuzione; la classica “smart bomb” è rielaborata in una breve coreografia danzata, che dona un’invulnerabilità momentanea e si conclude in un attacco di notevole potenza d’urto.Stesso rigore è manifestato dalla scenografie, per lo più asettiche installazioni tecnologiche inframmezzate da brevi escursioni in panorami desertici; dove finiscano la coerenza stilistica ed il minimalismo ricercato ed inizi la monotonia, è la sensibilità dello spettatore a stabilirlo.