L’arrivo di Killer Instinct in sala giochi causò nel 1994 un piccolo terremoto, turbando le abitudini ludiche degli appassionati del genere beat ‘em up. In un panorama dominato dai titoli bidimensionali, erano i capolavori di Capcom a dettare legge, condividendo il podio delle preferenze con gli altrettanto solidi prodotti SNK; l’unica alternativa ai classici canoni giocabilistici era costituita da Mortal Kombat, esteticamente affascinante nella sua rappresentazione digitalizzata ma ottusamente schematico nella giocabilità.
L’imponente coin-op nato dal lavoro di un dream team composto da Nintendo, Rare e Midway, introdusse una filosofia che avrebbe influito sul futuro sviluppo del picchiaduro, anche in campo poligonale: quella delle famigerate “combo”.

Basic Combo Theory
L’era dei 2-3 hits consecutivi performabili da Ryu o Terry Bogard appariva finita: i massicci lottatori al silicone di Rare erano in grado di concatenare serie quasi interminabili di colpi, massacrandosi a vicenda in una coreografia tanto spettacolare quanto gratificante in termini di punteggio; il sistema di combattimento di Killer Instinct esasperava in maniera drammatica l’uso degli hit-combo, rendendoli strumento d’offesa privilegiato e imprescindibile da assimilare; la modalità d’utilizzo era sintetizzabile in alcuni passaggi chiave, che consentivano poche variazioni sul tema: opening move - autodouble - linker move - autodouble - end special. La tecnica dell’autodoubling impediva al giocatore di ottenere risultati degni di nota limitandosi ad un ignorante button-smashing; i 6 tasti relativi a pugni e calci erano “appaiati” in una rete di corrispondenze, da rispettare in maniera ferrea affinchè si attivassero i cosiddetti extra-hits: ad una pressione successiva di soli due pulsanti potevano corrispondere 3 o 4 hits effettivi.
Il profondo tasso di tecnicismo richiesto dalle dinamiche di combattimento era completato da altri due peculiari elementi: le indispensabili combo breaker, mosse in grado di fermare la furia aggressiva del proprio opponente basandosi sul principio del “carta-forbici-sasso”, e le mosse finali, catalogabili principalmente in Danger Moves e Ultra Combos: se le prime non erano altro che una rielaborazione altrettanto sanguinolenta delle più celebri Fatality, le seconde consistevano in una letale pioggia di botte, in grado di terminare l’avversario in un’orgia di più di 30 hits consecutivi, cifra assolutamente sconvolgente per i tempi.
Silicon Graphic
Il magnificente impatto grafico di Killer Instinct era intimamente legato alla tecnologia ACM (advanced computer modeling), sviluppata da una Rare in stato di grazia e già ammirata in occasione del primo Donkey Kong Country su Snes; i modelli dei personaggi venivano realizzati con gran numero di poligoni su workstation Silicon Graphics, per poi essere tradotti e adattati dagli artisti in chiave bidimensionale. Il risultato finale vedeva Jago, Glacius, Riptor e la pettoruta Orchid sfoggiare un solidissimo look renderizzato e muoversi in lussureggianti scenari in full-motion video; completavano l’esotico quadro estetico le atmosfere fantascientifiche dalle tinte dark-cyberpunk ed una selezione di animazioni estremamente caratterizzate, elementi capaci di rendere il gioco inconfondibile, ma anche di esporlo ad una certa dose di critiche soggettive.
Ammaliati da cotanta meraviglia tecnologica, i giocatori ricorderanno il monito annunciato dalla voce distorta dello speaker durante le schermate di presentazione, quasi fosse una benevola profezia: “available for Nintendo Ultra 64, in 1995!”. In realtà ad approdare sul mostro a 64-bit della grande N sarebbe stato solo il secondo capitolo della saga, accompagnato dal suffisso Gold… ma questa è un’altra storia.
Arcade Perfect?
L’ottimo successo riscosso in ambito arcade convinse Nintendo a realizzare un porting su Snes; le brame dei fans, smaniosi di gustare tra le mura domestiche tutte le Ultra Combos del cabinato originale, furono soddisfatte da una conversione eccellente, nonostante fosse da molti ritenuta impossibile; i contenuti di Killer Istinct vennero riproposti in maniera integrale, senza intaccare il numero di personaggi selezionabili né ridimensionare il parco mosse. L’adattamento audiovisivo dovette per forza di cose tagliare alcune animazioni e rimuovere di netto i fondali in computer grafica, ma l’essenza del gioco non subì alcuna ripercussione; per dovere di cronaca occorre ricordare anche una versione per Game Boy Color, non riuscitissima ma encomiabile nelle intenzioni e capace di imporre il franchise anche nel mondo portatile.
Killer Instinct entra di diritto nella storia del picchiaduro, tanto per la sua ineguagliata resa grafica quanto per la coraggiosa sperimentazione giocabilistica; il sistema di combo ha costituito al contempo la fortuna ed il principale limite del capolavoro di Rare, portando critica e pubblico ad un atteggiamento d’amore\odio nei confronti del franchise, ma i giocatori che riuscirono ad entrare nel giusto spirito e ad assimilare i necessari schemi di gioco lo ricorderanno ancora come un’esperienza significativa.
Riesumato il passato, rimane la speranza di un ritorno in grande stile della saga su Xbox360… ma ci si potrebbe accontentare anche solo della pubblicazione su Live Arcade dell’originale.
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